Misura d’effetto equivalente

Misura d’effetto equivalente artt. 28 e 29 Trattato CE

Questa espressione, originale e precipua del Trattato di Roma (v.), prefigura ogni forma di intervento statale non espressamente contemplata da altre norme del trattato, che abbia come conseguenza o finalità quella di restringere, direttamente o indirettamente, effettivamente o potenzialmente, gli scambi intracomunitari.
La dizione normativa non dà alcuna definizione al riguardo, ma si limita a specificare che gli effetti da prendere in considerazione sono quelli equivalenti a restrizioni quantitative (v.) all’importazione e all’esportazione.
Il Trattato CE sancisce il divieto della misura d’effetto equivalente tra gli Stati membri, per sanzionare ogni tipo di intervento nazionale che intralci gli scambi intracomunitari.
Presupposti per l’applicazione del divieto sono:
— che l’ostacolo in questione derivi da una misura di carattere statuale, ossia imputabile allo Stato in senso lato, inteso come complesso di organi costituenti il potere legislativo, esecutivo e giudiziario, e degli enti pubblici. Ne restano escluse quindi le misure puramente interne, poste in essere dagli Stati nell’ambito delle loro competenze residue;
— che quest’ostacolo comporti effetti restrittivi equivalenti a quelli delle restrizioni quantitative all’importazione o all’esportazione, ossia delle limitazioni quantitative degli scambi per un certo periodo, che non esisterebbero se la misura venisse rimossa.
Nella copiosa giurisprudenza della Corte di Giustizia sono emerse delle distinzioni nell’ambito delle misure in esame: queste si distinguono in misure d’effetto equivalente all’esportazione e misure d’effetto equivalente all’importazione. Tra queste ultime si opera un’ulteriore distinzione tra misure restrittive, che si applicano solo ai prodotti importati (cd. misure discriminatorie), e misure che sono previste per qualsiasi tipo di prodotto si trovi sul territorio dello Stato membro, indipendentemente dalla sua origine (cd. misure indistintamente applicabili). Anche se apparentemente non discriminatorie, queste ultime sono state oggetto del controllo della Corte di Giustizia, che ha rilevato la loro assoluta contrarietà al divieto posto dall’articolo 28 del Trattato CE. Nel caso di specie, si trattava di controlli sui prezzi, che discriminavano materialmente, ma non formalmente, i prodotti importati attraverso la fissazione di prezzi minimi o massimi, oppure ostacoli tecnici agli scambi, derivanti da differenti norme tecniche applicate nello Stato importatore (v. Cassis de Dijon) ed infine delle modalità di vendita dei prodotti che ostacolavano, di fatto, l’ingresso dei prodotti stranieri sul mercato.